Guerra sul Danubio (376-377) - Ep. 16 (2)
LA GRANDE TRAVERSATA DEL DANUBIO
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Rappresentazione di fantasia dell'attraversamento dei Goti del Danubio. Siamo sulla sponda Romana e i Goti continuano ad attraversare il fiume
I Tervingi furono dunque fatti entrare nell'impero e la scena ci è stata descritta da diversi storici: segno che percepirono questo evento come uno spartiacque della loro storia. Un intero popolo, donne, vecchi, bambini oltre ai fieri guerrieri Goti furono caricati sui trasporti romani e passarono la frontiera. “I Goti venivano trasportati in schiere oltre il fiume, giorno e notte, su navi, zattere e tronchi appena scavati” dice Ammiano. Pare che nella fretta di abbandonare le pericolose rive settentrionali i Goti misero in pericolo la loro stessa vita, ancora il nostro storico: “poiché il Danubio è un fiume assai pericoloso e per di più era gonfio di molte piogge molti di loro perirono annegati mentre, a causa della grande massa di gente, tentavano di attraversare contro corrente e a nuoto”. Per gestire quell'immensa massa di persone i burocrati statali provarono a tenere il conto dei nuovi arrivati, registrandoli allo sbarco, in una sorta di replica antica di Ellis Island, l'isola dei migranti nella baia di New York. Ma i Goti erano troppi e dopo un po' si arresero: è difficile dire quanti fossero i Tervingi, ma probabilmente si trattava di almeno 50 mila uomini, forse perfino 100 mila, con una forza militare tra i 10 e i 20 mila uomini.
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Ammiano non aveva alcuna simpatia per i Goti, come vedremo, ma le sue pagine sono punteggiate di passi dove dimostra notevoli dosi di empatia sia per la tragedia che aveva colpito questo popolo sia perfino per le loro ragioni. Ammiano ha però le idee ben chiare sull'effetto finale della grande migrazione: “mentre tentavano di attraversare le autorità si impegnarono con somma cura perché non rimanesse indietro nessuno di quelli che avrebbero distrutto lo stato romano”. È palpabile la sua irritazione e il suo sdegno per una decisione funesta. Nonostante tutto il giudizio di Ammiano mi pare ingeneroso e frutto del senno di poi. Non era scritto che finisse male: decine di popoli erano stati accolti nell'impero con grande successo. I Goti si sentivano genuinamente in alleanza con l'Imperatore e si comportarono onestamente: accettarono di accamparsi in un povero centro profughi in attesa delle istruzioni imperiali.
GIOCARE CON IL FUOCO, CIRCONDATI DALLA BENZINA
Arrivati a questo punto dobbiamo inevitabilmente parlare del disastro che fu la gestione dei migranti da parte degli ufficiali Romani a ciò preposti. Dice Ammiano “la gravità della situazione avrebbe richiesto comandanti militari assai famosi per le loro imprese ma, come se una divinità avversa li avesse scelti, si trovavano invece al comando degli eserciti uomini macchiati dal disonore tra i quali si distinguevano il Conte Lupicino e il generale Massimo”.
Questi due gentiluomini, avendo costatato che la fame già serpeggiava nell'accampamento profughi e che erano loro a controllare tutte le derrate alimentari della regione, decisero che questa fosse un'occasione imperdibile per arricchirsi. Durante l'inverno del 377 costruirono un profittevole commercio di generi di prima necessità – spesso carne immangiabile – in cambio di tutti gli averi mobili dei Goti e, una volta che i Goti furono ridotti in miseria, in cambio della vendita dei loro figli come schiavi. La furia dei Goti andò montando: erano un popolo fiero, abituato ad essere libero. Avevano attraversato il fiume con l'autorizzazione e il beneplacito dell'imperatore che si era impegnato a sfamarli. Ora invece venivano affamati – probabilmente a bella posta – e costretti alle più turpi azioni possibili per sopravvivere. L'uomo davvero non cambia mai.
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A questo punto avviene qualcosa che ha dell'inspiegabile ma che in realtà ha una sua logica: il conte Lupicino decise che non poteva più controllare la situazione visto che i Goti parlavano apertamente di ribellione se non si fosse posto rimedio alla loro terribile situazione. Lupicino, per dare un segnale ai Goti, decise di marciare i Tervingi verso la capitale militare della regione, Marcianopoli, nella moderna Bulgaria. Probabile che promise che una volta lì sarebbe iniziata la distribuzione delle terre e delle provviste ai Tervingi.
Il problema era che Lupicino non aveva truppe in numero sufficiente a gestire il trasporto dei Goti e fu costretto a ritirare le truppe che pattugliavano il Danubio, impedendo ai Greutungi di passare. La marcia fu probabilmente un tormento per gli affamati Goti e va detto ad onore delle nostre fonti romane, non solo Ammiano, che tutte sono unanimi nel deplorare il trattamento inumano dei migranti che non erano un popolo sconfitto ma immigrati legalmente accolti dallo stato romano.
I TORMENTI DI UN FUNZIONARIO
Una volta che videro che le guarnigioni a guardia del Danubio non c'erano più i Greutungi di Alatheus e Saphrax, con i loro alleati, decisero di passare il fiume illegalmente: non sarebbero rimasti a nord del Danubio in attesa di vedere gli Unni piombare sui loro cari per farli schiavi o perfino a pezzi. I Romani potevano tenersi le loro regole e le loro leggi, loro si sarebbero uniti ai cugini.
Probabile che Fritigern ricevette notizia del passaggio illegale del fiume da parte dei Greutungi e comprese che sarebbe stata utile avere il doppio delle spade nella futura negoziazione con l'impero. Decise quindi di rallentare il più possibile la marcia, in modo da dare il tempo agli altri Goti di raggiungerli, cosa che puntualmente avvenne. Ora la situazione era davvero incendiaria: i Romani erano in disperata inferiorità numerica, in caso di guai. Alla fine Goti e Romani arrivarono sotto le mura di Marcianopoli. Ovviamente le autorità civili Romane della città non vollero saperne di aprire le mura a questa massa di potenziali saccheggiatori chiaramente non del tutto sotto il controllo delle truppe Romane. Le porte rimasero chiuse in faccia agli affamati, stanchi e disperati Goti.
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I soldati Romani si schierarono a difesa delle mura di Marcianopoli mentre i Goti protestavano vivamente: erano oramai sudditi dell'imperatore e in pace con i Romani. Avevano necessità di entrare in città per procurarsi da mangiare. La situazione divenne incandescente e Lupicino ebbe la brillante idea di invitare i principali capi dei Goti a cena, in città, per discutere della faccenda. Mentre Fritigern e i suoi si rifocillavano scoppiò però la rivolta: i Goti erano arrivati all'esasperazione e cercarono di entrare in città con la forza, i Romani sguainarono le spade e ci fu una breve battaglia nella quale i soldati rimasti fuori città furono massacrati dai Goti inferociti. Un messaggero riferì l'accaduto di nascosto a Lupicino. Il manuale del perfetto governatore romano era chiaro su cosa fare a questo punto: o cercare immediatamente di calmare le acque o tagliare la testa della ribellione, uccidendone i potenziali capi. Lupicino sembrò protendere per la seconda soluzione e, in stile “nozze rosse” del trono di spade, fece uccidere le guardie che erano venute con i capi dei Goti e si impadronì di questi ultimi. A questo punto però ebbe una fatale esitazione: nel frattempo erano arrivati altri messaggeri che facevano presente che i Goti fuori delle mura erano sempre più irritati di non vedere tornare i loro principi. Mi immagino Fritigern approcciare Lupicino: “Conte, la situazione vi è sfuggita di mano. Io sono l'unico che può riportarla sotto controllo: lasciatemi tornare al mio popolo: sarà un atto dimostrativo della vostra generosità e comprensione. Sarà mio compito far capire ai miei che non c'è speranza nella ribellione a Roma”. Lupicino era probabilmente sul punto di rottura: la sua carriera era in bilico, un passo falso e sarebbe stata l'ignominia. Fritigern gli dava l'occasione di rimettere, forse, tutto in sesto.
Fritigern fu quindi liberato e andò immediatamente dai suoi: qui si guardò intorno e capì immediatamente, dai corpi dei romani sparsi a terra, che il dado era già tratto. Il suo popolo era furioso del trattamento riservatogli dai Romani e Fritigern aveva ben presente che era stato lui a convincerli a venire in Romania. Aveva solo due opzioni: cavalcare la tigre o esserne sbranato. Salì a cavallo e dichiarò che i Romani avevano rotto i patti: era la guerra.
MASSACRO A MARCIANOPOLI
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Mia mappa dei primi due anni di guerra gotica, fino alla battaglia “ai salici”
Il primo obiettivo strategico di Fritigern e i suoi fu di procurarsi il sostentamento: squadre di razziatori si scagliarono su tutta la provincia della Moesia seconda, la provincia di Marcianopoli tra i monti Balcani e il Danubio. Le case di campagna furono razziate e bruciate, tutto quello che i Goti poterono asportare fu asportato e rifugiati romani cominciarono a spargersi ovunque in direzione della sicurezza delle città fortificate, a ben ragione come vedremo.
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Lupicino a questo punto aveva fatto la frittata. Il manuale del bravo Comes prevedeva che informasse l'imperatore del fattaccio prima di prendere ulteriori iniziative. Il nostro Comes però desiderava riportare l'ordine prima che la notizia arrivasse a Valente: tutti noi ci siamo trovati in una situazione simile, quando di fronte a un disastro abbiamo sperato di poterci nascondere sotto un cuscino o creduto che metterci una pecetta potesse risolvere la questione. Lupicino, invece di chiedere consiglio e aiuti, cercò di fare da solo in modo da compensare il disastro di Marcianopoli con la notizia che aveva già sconfitto i riottosi Goti.
Raggranellò quante più truppe potesse trovare in breve tempo, considerando che il grosso dei soldati era acquartierato in località sparse della provincia e non poteva essere concentrato in fretta. Probabilmente marciò contro i Goti con la sola guarnigione di Marcianopoli e di qualche città vicina. Forse qualche migliaio di soldati in tutto: erano meno dei Goti, ma soldati professionisti, ben armati, abituati a fare con regolarità a pezzi i vicini settentrionali.
La battaglia si svolse a sole 9 miglia da Marcianopoli. I Goti sapevano di essere uomini con le spalle al muro: se avessero perso sarebbero stati massacrati e i loro figli e le loro mogli sarebbero stati venduti come schiavi. Combatterono con la furia del serpente nell'angolo e vinsero la loro battaglia: caddero i tribuni a capo dei reggimenti romani e le truppe di Lupicino furono massacrate. Lupicino, visto il disastro, decise di sacrificarsi e affondare con la nave da buon capitano, suicidandosi di fronte all'avanzata dei Goti. Ah, ci siete cascati! Vi pare qualcosa in linea con il carattere del nostro Comes? Ovviamente ai primi segni di cedimento dei suoi Lupicino se la diede a gambe levate per salvare la sua pellaccia.
I goti saccheggiarono i corpi dei nemici sconfitti e si rivestirono con le splendide armi e armature dei Romani: erano sopravvissuti per vedere un altro giorno e le truppe Comitatensi della Tracia erano sparse sul campo di battaglia. Le guarnigioni limitanee dei Romani non avevano nessuna speranza di sconfiggerli. Ora non c'era nessuno, a nord di Costantinopoli, che potesse davvero fermarli.
MONTA LA RIBELLIONE
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La prima vittoria dei Goti in più di un secolo su territorio Romano fu un segnale: i Goti che erano stati recentemente schiavizzati si ribellarono e si unirono a Fritigern. Due reggimenti di mercenari Goti acquartierati ad Adrianopoli ricevettero l'ordine di marciare in tutta fretta verso l'Asia Minore, probabilmente per allontanarli dai connazionali in rivolta. I mercenari vollero ubbidire ma chiesero ai magistrati di avere i consueti rifornimenti necessari alla marcia. Questi si rifiutarono di consegnarli e chiusero le porte in faccia ai Goti, armando i cittadini per difendere le mura. I Goti, spaventati e con il legittimo sospetto che se avessero ubbidito agli ordini dell'imperatore sarebbero stati massacrati sulla via dalle truppe Romane, disertarono e si unirono ai rivoltosi. Perfino molti cittadini Romani – contadini semiliberi sfruttati dai loro padroni e altri membri delle classi più umili dell'impero – si unirono ai rivoltosi: come abbiamo visto nel caso dei Bagaudi lo stato Romano era caratterizzato da una iniquità colossale e vivere sul fondo della piramide sociale lasciava decisamente a desiderare. Unirsi a dei Goti era una prospettiva allettante per alcuni: questi nuovi venuti si fecero da guida delle bande razziatrici gotiche.
I Goti arrivarono persino sotto le mura di Adrianopoli e cercarono di conquistare l'importante città della Tracia, che custodiva importanti ricchezze. Come ho spiegato però nello scorso episodio le città romane del quarto secolo avevano ricevuto un impressionante upgrade delle loro capacità difensive, con mura più alte e spesse e bastioni semicircolari adatti all'uso dell'artiglieria da assedio. I Goti erano dei feroci combattenti ma a nord del Danubio non c'era niente del genere e non avevano idea di come conquistare la città. In un discorso diventato celebre, dopo che molti dei suoi perirono per cercare di prendere Adrianopoli, Fritigern disse che era inutile fare guerra alle mura: i Goti avrebbero dovuto continuare a razziare le campagne e lasciare in pace le imprendibili città romane.